La Regione Campania dimentica di inserire nella Strategia regionale
per le aree interne dieci comuni del Matese Campano
La Regione Campania con D.G.R. n. 282 del 18.07.2014, pubblicata sul B.U.R.C. n. 51 del
21.07.2014 ha approvato i documenti di sintesi del P.O.R. Campania F.E.S.R.
2014 – 2020 e del P.O.R. Campania F.S.E. 2014 – 2020 e contestualmente ha dato
mandato alle rispettive Autorità di Gestione di procedere alla notifica dei
documenti ai servizi della Commissione Europea (Regolamento (UE) n. 1303 del 17 dicembre 2013; Regolamento (UE) n.
1301 del 17 dicembre 2013; Regolamento (UE) n. 1304 del 17 dicembre 2013).
Nel Documento di sintesi del P.O.R. Campania
F.E.S.R. 2014 – 2020, così come previsto dalla Strategia
nazionale per le Aree interne allegata all’Accordo di Partenariato, la Regione
Campania
nel paragrafo 4.5. – Strategie territoriali trasversali - , al punto 4.5.2.
affronta la Strategia
regionale Aree Interne ed esclude i dieci comuni del Matese
Casertano
identificati dal D.P.S. (Dipartimenti politiche di coesione) nella macro classe
“Aree interne” e nella Classe comune “periferico”.
Il
Dipartimento politiche di coesione ha definito interne “quelle aree significativamente distanti dai centri di offerta di
servizi essenziali (di istruzione, salute e mobilità), ricche di importanti
risorse ambientali e culturali e fortemente diversificate per natura e a
seguito di secolari processi di antropizzazione”.
Le aree
interne sono state definite dal DPS per il loro carattere di perifericità e di
distanza non tanto e non solo geografica dai poli urbani, quanto dalla loro
distanza dai centri di offerta dei servizi di base, individuando tra tali
servizi i seguenti:
· istruzione (scuola
secondaria superiore);
· sanitario (ospedale
sede di un DEA – Dipartimento d’emergenza e accettazione);
· trasporti (distanza da una stazione ferroviaria di tipo Silver).
In
questo modo le scelte operate dal DPS sono andate ad esaltare la dimensione
sociale prima ancora che economica dei territori “interni” e li hanno definiti
sulla base di una prevalenza di fattori di contesto connessi all’offerta di
servizi essenziali che consentono alle popolazioni di risiedere, in modo
qualitativamente soddisfacente, in determinati luoghi.
Altro
aspetto da tenere in considerazione è che la Strategia nazionale per le Aree
interne utilizzerà
come occasione e leva finanziaria e di metodo, la programmazione dei fondi
comunitari disponibili per tutte le regioni del paese per il settennio
2014-2020, combinati con la previsione di risorse dedicate in legge di stabilità.
Infatti,
la Legge di stabilità 2014 art. 1, commi 13 – 17 (Legge 27 dicembre 2013, n.
147) [2], prevede una stanziamento di
bilancio (Fondo aree interne), finalizzato a finanziare interventi nei settori
dei trasporti, della sanità e dell’istruzione che integrano – costituendone
l’addizionalità – gli interventi regionali che faranno leva sui fondi
strutturali[3].
Una
volta definite le “aree interne” e definiti i meccanismi finanziari su cui far
leva, la Strategia
nazionale per le Aree interne ha demandato alle Regioni di individuare un’area interna, dove poter sviluppare e
accompagnare una progettazione territoriale sui temi dello sviluppo tenendo
conto della necessità di affrontare i fattori di criticità (perifericità) che determinano
le condizioni di spopolamento dei Comuni interni: trasporti, istruzione, sanità
(condizioni
di cittadinanza). Tale progettualità potrà essere accompagnata da
ipotesi di intervento per lo sviluppo economico del territorio (condizioni
di mercato).
“Per
perseguire gli obiettivi della strategia, l’intervento conterrà tre forti
innovazioni. Riguarderà all’inizio un numero limitato di aree. Avrà carattere
nazionale e vedrà dunque convergere l’azione di tutti i livelli di governo, dei
diversi fondi europei disponibili e dell’intervento ordinario di Comuni,
Regioni e Stato centrale. Prevedrà tempi certi, uno stretto e aperto
monitoraggio degli esiti e il confronto delle esperienze realizzate. La
selezione iniziale di poche aree-progetto – una per ogni Regione dove le
condizioni siano mature – comprendenti molteplici Comuni (anche a cavallo di più
Province o Regioni) avrà luogo da parte delle Regioni secondo i criteri
generali condivisi e utilizzando la mappatura costruita (come un quadro di
riferimento, non come una “zonizzazione”). Combinando analisi di indicatori e
indagini sul campo, si valuteranno le tendenze in atto, demografiche,
produttive e nell’uso del suolo, le potenzialità e le capacità progettuali e
attuative negli ambiti di intervento individuati: tutela del territorio;
valorizzazione delle risorse naturali e culturali e turismo; sistemi
agro-alimentari; saper fare e artigianato; risparmio energetico e filiere
locali di energia rinnovabile. Vengono infine valutate la qualità dei servizi
dell’istruzione, della salute, della connettività e della mobilità e
l’effettiva possibilità di raggiungere per essi standard adeguati di offerta.
D’intesa
fra Regioni e governo centrale si partirà nel 2014 con un numero limitato di
prototipi (uno per Regione, se possibile), assicurandosi che la fase
iniziale della strategia sia “giocata” con le aree-progetto a un tempo più
bisognose e più in grado di riuscire. Questo approccio selettivo,
decisamente diverso dal passato, sarà nell’interesse di tutte le Aree interne
perché l’estensione della strategia sarà legata agli esiti di questa prima
fase, opportunamente valutati.
Risulta chiaro che tra le aree interne, così
come indicate dal DPS, va individuata in via prioritaria (Fase 1) da parte
delle Regioni un’area (massimo due), scelta tra le aree progetto identificate
secondo criteri oggettivi, dove avviare quello che viene definito un “prototipo di progetto”, un progetto pilota
nella definizione dalla legge di stabilità 2014, cioè una sorta di
sperimentazione che successivamente (Fase 2) andrà replicata nelle restanti aree progetto. Infatti, nel documento
della Strategia nazionale per le aree interne è riportato testualmente “le Regioni potranno inserire nei loro Programmi più di un’area (un
numero limitato) – sulla quale interverranno nella seconda e nella terza fase
di attuazione della Strategia. Sarà ovviamente sempre possibile per ogni
Regione finanziare attraverso i loro programmi progetti – di diversa natura -
in aree definite “interne” ma tale atto non li qualificherà come progetti della
“Strategia nazionale per le Aree interne”.
La Regione Campania nel definire la Strategia
regionale per le Aree Interne contenute nel Documento di Sintesi (DGR. N. 282/14)
ha identificato ed inserito nel P.O.R. Campania FESR 2014 – 2020 quattro aree
progetto: 1) Alta Irpinia, 2)
Tammaro-Titerno, 3) Cilento Interno, 4) Vallo di Diano (1 afferente alla Provincia di
Benevento, 1 a quella di Avellino, 2 a quella di Salerno) escludendo
così in via definitiva dalla strategia i 40 Comuni della Provincia di Caserta
identificati dal D.P.S. come aree interne ed in modo particolare i comuni di: 1) Castello del Matese, 2) Gallo Matese, 3)
Gioia Sannitica, 4) Letino, 5) Piedimonte Matese, 6) Raviscanina, 7) San
Gregorio Matese, 8) San Potito Sannitico, 9) Sant'Angelo d'Alife, 10) Valle
Agricola classificati
come “aree interne” e “periferici”.
Questi 10 comuni presentano
gli stessi caratteri di criticità e di perifericità di quelli identificati
dalla Regione Campania e per di più sono nel Sistema territoriale di sviluppo a dominante naturalistica A 10 del P.T.R. (L.R. 13/2008), nel
perimetro territoriale del Parco
Regionale del Matese, nella Rete Natura
2000 e tutti nella Comunità Montana
del Matese.
Fatte queste considerazioni, mi pongo e pongo
una serie di domande:
Perché la Regione Campania ha escluso i comuni
del Matese Casertano? Quali sono stati i criteri oggettivi utilizzati dalla Regione
Campania per escludere il Matese casertano dalla strategia regionale e nazionale
per le aree interne? Chi sono stati i referenti del territorio a rappresentare
l’area al tavolo di programmazione regionale? Se ci sono stati, come sono stati
scelti? Chi li ha scelti?
Aiutatemi a capire, l’abbandono …..
Legge 27
dicembre 2013, n. 147, art. 1 commi 13 – 17;
13. Al fine di
assicurare l'efficacia e la sostenibilità nel tempo della strategia nazionale
per lo sviluppo delle aree interne del
Paese, in coerenza con l'Accordo di partenariato per l'utilizzo dei fondi a finalità strutturale assegnati
all'Italia per il ciclo di programmazione 2014-2020, è autorizzata la spesa di 3 milioni di euro per l'anno 2014 e di 43,5 milioni di euro per ciascuno degli
anni 2015 e 2016, a carico delle disponibilità del Fondo di rotazione di
cui all'articolo 5 della legge 16 aprile 1987, n. 183.
14. Le risorse di
cui al comma 13 sono destinate al finanziamento di interventi pilota per il
riequilibrio dell'offerta dei servizi di base delle aree interne del Paese, con
riferimento prioritariamente ai servizi di trasporto pubblico locale ivi
compreso l'utilizzo dei veicoli a trazione elettrica, di istruzione e
socio-sanitari, secondo i criteri e le
modalità attuative previste dall'Accordo di partenariato.
15. L'attuazione
degli interventi, individuati ai sensi del comma 14, è perseguita attraverso la
cooperazione tra i diversi livelli istituzionali interessati, fra cui il
Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministero
dell'istruzione, dell'università e della ricerca e il Ministero della
salute, mediante la sottoscrizione di accordi di programma-quadro di cui
all'articolo 2, comma 203, lettera c), della legge 23 dicembre 1996, n. 662, in
quanto applicabile, con il coordinamento del Ministro per la coesione
territoriale che si avvale dell'Agenzia per la coesione territoriale.
16. I criteri generali per
l'individuazione delle aree interne ai sensi del comma 13, interessate dai
progetti pilota di cui al comma 14, sono definiti con l'Accordo di
partenariato.
17. Entro il 30
settembre di ciascun anno, il Ministro per la coesione territoriale presenta al
Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE) i risultati
degli interventi pilota posti in essere nel periodo di riferimento, ai fini di
una valutazione in ordine a successivi rifinanziamenti dell'autorizzazione di
spesa di cui al comma 13.
REGOLAMENTO (UE) N. 1303/2013 DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL
CONSIGLIO del 17 dicembre 2013;